Onorevoli Colleghi! - In base alla Costituzione della Repubblica italiana, ogni individuo ha il diritto a essere informato sugli eventi politici, sociali e culturali in modo libero, plurale e obiettivo.
      Per garantire questo diritto occorre dunque tutelare la libertà di espressione e il pluralismo dei mezzi di comunicazione, nella consapevolezza che l'informazione e la comunicazione sono beni essenziali su cui si fonda lo spazio pubblico di ogni democrazia e non possono pertanto essere lasciati al mero gioco del mercato.
      La presente proposta di legge introduce una nuova disciplina dei limiti a tutela del pluralismo basata sui livelli di audience, la quale tenga conto altresì dell'evoluzione tecnologica e del mutamento delle abitudini degli utenti nei mezzi e nelle modalità di fruizione dei contenuti. L'introduzione di un nuovo sistema di valutazione delle concentrazioni informative basato sugli ascolti rende necessaria la presenza di soggetti deputati al rilevamento degli ascolti che garantiscano terzietà e attendibilità.
      Al fine di assicurare la necessaria disponibilità di risorse economiche per lo sviluppo di tutti i mezzi di comunicazione di massa, vengono reintrodotti i limiti alla raccolta di risorse economiche che erano stati originariamente stabiliti dalla «legge Maccanico» (legge n. 249 del 1997) e sono previsti rimedi specifici e tassativi che l'Autorità di garanzia deve adottare nel caso di superamento delle soglie di audience o di risorse pubblicitarie.
      Con riferimento al limite massimo di reti analogiche o programmi digitali che uno stesso soggetto può detenere, la presente

 

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proposta di legge supera quella ingiustificata assimilazione tra canali analogici e programmi digitali terrestri che costituisce uno dei principali meccanismi inventati dalla «legge Gasparri» (legge n. 112 del 2004) per superare il limite al numero di programmi introdotto dalla legge Maccanico sulla scia delle indicazioni della Corte costituzionale. Canali analogici e programmi digitali vanno dunque valutati separatamente come entità non omogenee. Difatti, sotto il profilo del potere informativo, risulta ingiustificabile equiparare canali analogici visti da più dell'80 per cento della popolazione a programmi digitali.
      Si distinguono pertanto due fasi: la prima è quella della convivenza delle trasmissioni analogiche e di quelle digitali, dove si applica un limite del 20 per cento (sul totale dei canali analogici) ai canali analogici e un limite del 20 per cento (dei programmi digitali) ai programmi digitali, analogamente a quanto prevedeva la «legge Maccanico». Il limite del 20 per cento sui programmi digitali in questa fase potrà essere disapplicato, visto che i programmi digitali saranno ancora complessivamente pochi. Le reti in tecnica analogica che superino il limite del 20 per cento devono liberare le frequenze terrestri e trasmettere solo con altri mezzi. A regime (dunque dopo lo switch off delle trasmissioni analogiche) si applicherà solo il tetto del 20 per cento ai programmi digitali.
      Si stabilisce, inoltre, la neutralità tecnologica delle politiche di incentivo rispetto alle infrastrutture distributive di contenuti digitali al fine di sviluppare tutte le tecnologie più efficienti e realizzare una piattaforma tecnologica aperta.
      Tramite procedure obiettive e trasparenti si attribuisce ai fornitori di contenuti un diritto «proprio» di accesso alla capacità trasmissiva necessaria alla diffusione, superando così il «conflitto di interesse» dell'operatore di rete che sia anche editore di propri programmi.
      Nell'era digitale il fornitore di contenuti può non coincidere più con il soggetto che ha la disponibilità del mezzo tecnico per la diffusione del contenuto stesso. Si attribuisce pertanto un diritto proprio al fornitore di contenuto che sia stato selezionato sulla base di una procedura pubblica, cui fa da contraltare un obbligo dell'operatore di rete - fino alla saturazione della stessa - a diffondere il contenuto che abbia il titolo autorizzatorio idoneo.
      Per quel che riguarda il riassetto del sistema nazionale delle frequenze si introducono dei correttivi all'accaparramento di queste ultime, che blocca il mercato e consolida ulteriormente le posizioni degli operatori più forti, e si pone fine alla nota vicenda dell'emittente «Europa 7» garantendole finalmente la possibilità di trasmettere in tecnica analogica e in futuro in tecnica digitale, facoltà entrambe di fatto negatele dall'attuale normativa malgrado il titolo concessorio regolarmente ottenuto nel 1999.
      Il problema principale della televisione terrestre, tanto di quella analogica quanto purtroppo anche di quella digitale (viste le modalità e le regole con le quali si sta procedendo alla transizione alla televisione digitale), è quello della gestione delle frequenze radioelettriche necessarie alle diffusioni televisive.
      Come è noto in Italia si è assistito sin dagli anni settanta a un processo di accaparramento da parte dei privati di una risorsa pubblica - le frequenze appunto - al di fuori di ogni regolamentazione e di ogni corretta procedura di pianificazione della risorsa e di assegnazione per mano pubblica del bene stesso.
      La normativa introdotta nel 2001 per consentire la partenza del digitale terrestre ha poi affiancato al meccanismo deregolamentato di accaparramento della risorsa un altro strumento: quello della circolazione delle frequenze tramite compravendita delle stesse fra i privati.
      Nella consapevolezza che intervenire su una situazione ormai consolidata nel tempo sia opera molto difficile, si è così cercato di rimettere in circolazione il maggior numero di frequenze possibile che possano così essere assegnate ad operatori tramite criteri e meccanismi trasparenti,
 

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pubblici e competitivi, tentando di riaprire un mercato ormai soffocato.
      Si è perciò intervenuto sia sulle frequenze che dovrebbero essere riconsegnate allo Stato da parte di chi attualmente le utilizza (reti eccedenti i tetti a tutela del pluralismo, frequenze non strettamente necessarie ad assicurare la copertura eccetera), sia sulle frequenze che circolano grazie ai meccanismi di contrattazione privata di cui si è detto.
      Nel primo caso le frequenze riconsegnate verranno nuovamente assegnate con procedure pubbliche secondo un determinato ordine di priorità, che vede al primo posto le emittenti in tecnica analogica che siano titolari di concessione ma alle quali non siano mai stati assegnati diritti d'uso sulle frequenze e che perciò non possono trasmettere. Nell'ordine, poi, le frequenze andranno assegnate a un nuovo entrante nella televisione digitale sino al raggiungimento da parte di quest'ultimo di una quota di copertura superiore al 50 per cento della popolazione, a soggetti che già diffondano in tecnica digitale ma che non abbiano una copertura del 50 per cento della popolazione e, infine, (qualora vi siano altre frequenze da assegnare) ad emittenti analogiche con copertura inferiore al 90 per cento della popolazione.
      Nel secondo caso, trattandosi di compravendita di impianti, si è previsto: a) che soggetti acquirenti possano anche essere coloro che non operano già nel mercato televisivo ma siano dei «nuovi entranti»; b) che anche la compravendita di frequenze sia realizzata attraverso procedure pubbliche di gara (la selezione dell'acquirente avverrebbe pertanto grazie ad un'asta competitiva pubblica e non in base all'individuazione della propria controporte da parte dall'alienante); c) in questa procedura competitiva di aggiudicazione degli impianti messi all'asta dall'alienante costituisce titolo preferenziale, a parità di altre condizioni, l'essere titolare di concessione in tecnica analogica ma non essere nella possibilità di trasmettere.
 

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